Civil 7 Summit: “Il G7 contribuisca alla pace con la giustizia sociale”. (2024)

In questi giorni, a Roma, si è svolto il Summit del Civil 7, lo spazio di dialogo della società civile internazionale con il G7. All'ordine del giorno della discussione sono stati i temi dall'ambiente, della giustizia sociale e della pace. Ne parliamo con Valeria Emmi e Riccardo Moro, rispettivamente Sherpa e Presidente del C7.

La prima domanda riguarda i vostri ruoli. Chi sono lo Sherpa e il Presidente del C7?

Emmi: Lo Sherpa è la persona che facilita il processo di dialogo interno e raccoglie e sintetizza le proposte politiche dei sette Gruppi di lavoro tematici internazionali che lavorano durante l’anno, per presentarle alla Presidenza del G7. Moro: Il Presidente è quello che in qualche modo garantisce il processo: l’inclusione e la partecipazione democratica internazionale, che peraltro avviene ormai con grande facilità. Il processo ‘Civil 7’, così come quello Civil 20 che dialoga ogni anno col G20, sono opportunità di dialogo ampiamente partecipati dalla società civile internazionale. Quest’anno abbiamo avuto più di 700 organizzazioni fa praticamente tutto il mondo, con una importante partecipazione dal Sud del mondo, certamente non solo dai paesi del G7.

Quali sono i temi della vostra agenda?

Emmi: Abbiamo sintetizzato nello slogan ‘Just Justice’ le nostre richieste. ‘Solo’ giustizia, giustizia economica, ambientale e sociale. Ovviamente sono temi impegnativi e complessi e dire ‘solo giustizia’ non significa non vedere la complessità, ma affermare che c’è una bussola etica chiara per orientarsi nella definizione delle politiche, ed è quello di orientarle ai diritti umani, da garantire a tutti, più che a interessi di parte. Viviamo tempi di ‘policrisi’, cioè di crisi multiple interdipendenti, dal clima alla sicurezza alimentare, dalla finanza alle minacce alla pace. Per elaborare le nostre raccomandazioni abbiamo creato 7 Gruppi di lavoro: Finanza, Salute, Clima e energia, Cibo, Mobilità umana, Assistenza umanitaria, Pace. Il tutto con uno sguardo trasversale di attenzione alla dimensione di genere.

L’ambiente e l’attenzione al clima sono temi che possono apparire quasi inflazionati, i cui risultati sembrano ancora largamente insufficienti. Quali sono le vostre proposte?

Emmi: Le raccomandazioni su questo tema partono dagli impegni dell’Accordo di Parigi sul clima, stimolando a fare di più e più in fretta. Tra queste, l’eliminazione dei sussidi ai combustili fossili entro il 2025 e il passaggio completo alle rinnovabili entro il 2035; il mantenimento dell’impegno, tuttora disatteso, di finanziare con 100 milioni annui i paesi a basso e medio reddito per l’implementazione di politiche di mitigazione e adattamento; il sostegno alla definizione dei nuovi obiettivi ‘quantificati’ collettivi alla COP 29 del prossimo dicembre, per aggiornare gli obiettivi internazionali oltre il 2025.

E riguardo la giustizia sociale?

Moro: il tema è molto ampio e, come si diceva a proposito della ‘policrisi’ richiede una attenzione complessiva che guardi alle interazioni complesse fra settori. Vi è una forte attenzione ai temi della ‘food justice’, che tiene insieme la sicurezza alimentare, negata a un numero scandalosamente grande di persone, e la sostenibilità dei sistemi alimentari, con la richiesta di promuovere la agroecologia. Si ribadisce la necessità di garantire la copertura universale dei servizi di salute. Anche in questo caso l’accesso alla salute, che nel nostro paese è un impegno costituzionale, è lungi dall’essere una realtà per tutti. Infine la dimensione più importante per lavorare sulla giustizia sociale è probabilmente quella finanziaria. Abbiamo di nuovo, a quasi 25 anni dal Giubileo, un problema di indebitamento sempre più grave dei paesi a basso e medio reddito, il cui costo riduce lo spazio fiscale dei governi. Occorre un rafforzamento degli strumenti di tassazione internazionale, che hanno grande potenzialità e per i quali c’è un ampio spazio di azione. Infine è necessaria coerenza negli accordi commerciali, spesso contraddittori rispetto agli impegni e gli obiettivi dell’Agenda 2030.

Infine la pace. Nel tempo della guerra in Ucraina e a Gaza, questa sembra essere irraggiungibile. Quali possono essere alcuni obiettivi concreti per fermare questa logica distruttiva della guerra?

Emmi: questa è forse la domanda più difficile. Al Summit del C7 abbiamo raccolto la partecipazione di moltissime organizzazioni che lavorano instancabilmente per il dialogo e la pace. In particolare una sessione è stata dedicata al tema della guerra in Medioriente, con un collegamento con attivisti della società civile da Israele e dalla Palestina che chiedevano le stesse cose: immediato cessate il fuoco, chiarezza sui danni creati e richiesta che le organizzazioni della società civile, che sono espressione della popolazione, possano partecipare con protagonismo ai dialoghi di pace e alla definizione delle condizioni e delle richieste da rispettare dalle diverse parti. La domanda di pace peraltro si colloca in una serie di attenzioni che guardano al rafforzamento delle norme internazionali sul disarmo, in particolare quello nucleare, e ai tavoli di dialogo internazionale, nonché al ribadire l’importanza del Diritto umanitario internazionale, oggi spesso violato, a Gaza come in Ucraina, non solo colpendo i civili, ma addirittura impedendo l’azione umanitaria di chi porta assistenza e soccorso.

Al vostro Summit hanno partecipato anche esponenti di governo, istituzioni pubbliche internazionali religiose, come il Card. Zuppi. Avete trovato ascolto?

Emmi: Al Summit hanno partecipato diversi rappresentanti delle istituzioni internazionali, quali la Banca Mondiale, il FMI, la Banca Africana di Sviluppo, l’OCSE, eccetera. In apertura abbiamo avuto la Ambasciatrice Belloni, Sherpa G7 del governo italiano e in chiusura il Direttore Generale della FAO. Con loro funzionari del governo italiano e di altri paesi del G7. Anche il Ministro degli Esteri Tajani ha mandato un messaggio. Per ora siamo soddisfatti della qualità del dialogo, anche se ovviamente sarà nelle tappe successive del G7 e in particolare nel Summit G7 di metà giugno che vedremo quanto le nostre attenzioni saranno tenute in considerazione.

Una parola finale. Sappiamo che anche da parte della società civile, in questi anni, ci sono stati degli errori. Qual è il vostro giudizio sul questo?

Moro: Se ci riferiamo ai casi di corruzione che sono avvenuti l’anno scorso, credo francamente si possa parlare di casi isolati. Nessun ambiente è esente da problemi e vulnerabilità, ma occorre distinguere con chiarezza chi truffa da chi opera per il bene comune. Dal punto di vista privilegiato che la presidenza internazionale del C7 offre, francamente credo che le organizzazioni della società civile stiano offrendo un contributo notevole a disegnare il futuro e servire la pace. La presenza istituzionale al Summit del C7 testimonia e dimostra la qualità di questo contributo, il cui merito non è di chi lo coordina, ma delle migliaia di organizzazioni che sul terreno lavorano, elaborano analisi, formulano proposte e dialogano. Spesso pagando di persona, come è capitato a tanti operatori umanitari o a tanti attivisti dei movimenti indigeni. Se guardiamo in prospettiva, oggi sui temi ambientali e sociali, e persino su quelli fiscali, i governi usano il linguaggio che noi abbiamo iniziato a proporre anni fa, allora inascoltati. È un cambiamento culturale efficace, ma che non basta. La violazione dei diritti richiede azioni urgenti, sulla quale la politica è troppo poco sensibile e troppo lenta.

Civil 7 Summit: “Il G7 contribuisca alla pace con la giustizia sociale”. (2024)

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